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Col di Lana: il mio trekking del cuore

Il Col di Lana è una montagna nelle Dolomiti Ampezzane che non è bianca e rosa, come quelle che la circondano. È una montagna strana, bassa rispetto ai giganti vicini, e scura. Quasi brutta, si potrebbe dire. Ha una forma aperta, ferita, come se qualcuno le avesse tolto dei pezzi. Salendo non si può non provare ad immaginarsi come doveva essere cent’anni fa, prima che la mina esplodesse.

Molti sapranno ovviamente che il Col di Lana (Col di Sangue) è uno splendido teatro della Grande Guerra. È ricoperto di trincee e segni delle numerose battaglie che si sono svolte sulle sue pendici, quasi come un vecchio leone senza un orecchio, col pelo rado e le cicatrici sul muso, che però conserva ancora lo sguardo fiero del predatore.

Proviamo a vedere se ancora ruggisce, quando ci saliamo sulla schiena. E vi dirò di più: percorriamo ben 2 sentieri per salirci, perché come ho scritto nel titolo, questo è un po’ il nostro trekking del cuore fin dall’inizio.

#diariomontano20

Info utili

Il dislivello merita un discorso a parte. Dalla carta non sono apprezzabili i saliscendi presenti sul sentiero 23, ma chi ha fatto la traccia col GPS ha rilevato circa 700 metri di dislivello, ed ecco perché ci sono due cifre. I conti “da carta” dicono 480 compreso il dislivello del buco della mina, il GPS segna 700. Per dire che anche se può non sembrare, è comunque un sentiero impegnativo.

Il classico

Col di Lana Earth 1

Oggi siamo in forma, talmente in forma che decidiamo di partire in discesa, in una splendida e calda giornata di sole agostano. Andiamo perciò ad affrontare in macchina le curve del Passo Falzarego per lasciare l’auto nei pressi del Passo Valparola. Parcheggiamo vicino al forte austriaco della guerra, il Forte Tre Sassi divenuto museo, e alla sua colonia di grasse marmotte altamente avvicinabili che ora risiedono nelle trincee che circondano la zona. Avranno pensato che non aveva senso scavare la terra se era già piena di buchi.

Ci avviciniamo dunque e prendiamo il sentiero 23 che costeggia il Lago Valparola, sotto la strada, e aggira quel che resta della linea difensiva austriaca. Al mattino non abbiamo tempo di cercare le marmotte, vedremo se sarà ancora fattibile al rientro.

Brandelli di storia

Nel caso vogliate perdere un po’ di tempo sulle tracce della storia, l’area è ricca di sentierini che percorrono le trincee austriache e anche il museo è molto carino. L’abbiamo visitato in un giorno di pioggia e merita, ci sono alcune ricostruzioni dell’interno del forte (anche se fu abbandonato quasi subito dopo un intenso cannoneggiamento), della vita in trincea, ed è ovviamente ricchissimo di materiale raccolto negli anni in tutta l’area circostante.

Sui passi Valparola e Falzarego infatti si sono svolte diverse azioni belliche. L’area era controllata dagli austriaci in quanto accesso alla Val Badia, ma era contesa dalle postazioni italiane sul Lagazuoi e interessata dalla linea di tiro dei cannoni italiani collocati in seconda linea alle Cinque Torri (anche quello, meraviglioso museo all’aperto).

Lago Valparola
Il Valparola al rientro

Salita

Il sentiero come dicevo parte in discesa. Segue tutto il torrente che esce dal lago fino ad una cascatella, che ci tocca attraversare grazie ad alcuni gradoni e ferle piantate nella roccia. Il rischio di scivolare è alto ma noi siamo giovani e pieni di voglia di vivere. E ovviamente la Tata non era nemmeno nei pensieri, ancora.

Peccato che il sentiero scenda ancora un po’, fino ad uscire finalmente dalle paludelle create dall’acqua e guadagnare un terreno più solido e roccioso. Tutta questa quota persa, invano.

Il 23 in realtà non è faticoso. È in falsopiano, con una pendenza veramente minima, si tiene sotto costa e permette di ammirare il panorama, è comodo… Peccato che sia molto al sole e che sia eternamente lungo, almeno nella percezione mentre lo si percorre. Sembra che non ci sia la fine.

Non so, sarà stato il caldo, ma a me è parso infinito.

Marmolada
Quella è la Marmolada, signori

Tempistiche

In realtà impieghiamo “solo” 2h30 dal Valparola al Bivacco Sief, ma giuro che sono sembrate mesi. Inoltre non c’è acqua potabile sul sentiero, e nemmeno ristori, quindi su questo tracciato bisogna portarsi tutto da casa. Considerate 2 litri di acqua a testa, se il sole picchia. È tutto bellissimo ma senza l’acqua sufficiente diventa un po’ grigio.

Giunti infine sulla sella del Sief, ad accoglierci una mandria di vacche al pascolo, con qualche cavallo in mezzo. Ci riposiamo un po’ e beviamo, prima di riprendere il viaggio. Da qui infatti prenderemo il sentiero 21 ed entreremo nelle trincee del Sief, che percorrono tutta schiena della montagna, e per la descrizione del percorso da qui in avanti rimando alla prossima sezione dell’articolo.


Discesa e marmotte

Gruppo del Sella
E quello è il Sella

Sulla strada del ritorno ripercorriamo la stessa strada fatta al mattino, con una deviazione sul finale alla ricerca delle grasse marmotte, che troviamo in abbondanza, più o meno incuranti della nostra presenza.

Tempistiche

In totale son circa 7 ore di cammino: 3h30 per andare e altrettanto per tornare, più la pausa pranzo. Quindi non è proprio una sgambata, anche se il dislivello è scarsino.

Marmotta
Ciccione

L’ardito

Altro anno, altro giorno, altro clima. Questa volta partiamo presto e bene attrezzati: fuori c’è la nuvola bassa e si annuncia pioggia. Siamo in giro con la Tata da una settimana e il tempo è stato quello che è. Questo è l’ultimo giorno prima di tornare a valle: non possiamo farcelo scappare, il richiamo della “Montagna” è troppo forte.

La sera prima abbiamo deciso di tornare sul Col di Lana con un altro sentiero, è la nostra montagna, non possiamo mancare quando siamo così vicino. Abbiamo deciso di partire da Andraz perché il giro classico (vedi sopra) è troppo lungo e prevede un rientro in salita, cosa che ormai escludiamo, da quando il carico bambina sulle spalle sfiora i 13kg. Abbiamo guardato la carta e ci sono diverse strade carrabili nel bosco sopra il castello, tenteremo una di quelle.

Col di Lana Earth 2

Parcheggiamo nei pressi del castello di Andraz che svetta al centro della valle, e sistemiamo le masserizie negli zaini. Oggi servirà tutto quello che ci porteremo. Scegliamo la strada da prendere, che si stacca in salita sulla destra rispetto a quella che conduce al castello, con un segnale di divieto di transito alle auto e una serie di cartelli che segnalano le baite e i fienili nelle valli sotto il Sief. Vediamo già qui in basso che il passo Sief è indicato quindi siamo tranquilli, perché dovremo per forza passare di lì.

Speriamo di trovare tutto aperto poiché la tempesta Vaia del 2018 ha devastato anche queste zone e ovunque vediamo i segni del vento. Il Teriol Ladin, il sentiero storico che gira intorno a Sief e Col di Lana è chiuso in più punti, quindi speriamo di non avere problemi.

Castello di Andraz
Il castello di Andraz in una luce molto bislacca

Salita nel bosco

Subito ci accorgiamo che i taglialegna hanno liberato il passaggio per consentire l’accesso alle baite e ai pascoli che arrivano fin sotto al passo, quindi procediamo speranzosi. Peccato che comincia a piovigginare, tocca imbacuccarci un po’, ricoprire la Tata il più possibile e andare, salendo nel bosco.

La strada è tranquilla, c’è odore di funghi e di pioggia. Qua e là iniziamo a vedere le radure con le baite, alcune in disuso altre invece nuovissime, fatte con tronchi di legno appena scortecciati e quasi gialli, staccionate perfette e fioriere coi gerani. La salita si fa più interessante, soprattutto perché la pioviggine è sottile e sembra di avere un vaporizzatore puntato perennemente sulla faccia. Ma si prosegue, in campo sempre più aperto.

In breve arriviamo nei pascoli e attraversiamo diversi gruppi di mucche, che ci ignorano con diffidenza malcelata. Ci sono numerosi ruscelli che solcano la vallata, che vengono opportunamente raccolti in varie fontane e abbeveratoi. I prati sono alti e qua e là sentiamo i fischi delle marmotte, senza tuttavia vederle.

Nei prati sotto la Sella del Sief

Saliamo con decisione mantenendoci sulla strada, che prosegue in un vallone a prato, con tabié a destra e a sinistra. Continua fino ad arrivare in un punto dove chiaramente la strada conduce all’ultima baita, ormai quasi sotto il passo, e a sinistra si stacca un sentiero che si inerpica per la valle, quasi diritto verso la meta. Lo prendiamo.

Ora la pioggerellina è diventata decisamente fastidiosa, ma la Tata non sembra lamentarsi, anzi dorme della grossa, quindi procediamo almeno fino alla sella. Lì vedremo il da farsi. Il sentiero è brutto, sembra quasi inesistente e procediamo seguendo le linee della collina, un po’ tagliando la pendenza e un po’ assecondandola, dove vediamo delle tracce.

Lo strappo da fare è impegnativo ma corto e vedere la meta ci aiuta a procedere speditamente. In breve siamo al passo, dove incrociamo il sentiero di cresta, il numero 21. Ci fermiamo un attimo e facciamo scendere la Tata che scalpita perché nel frattempo si è svegliata. Per fortuna ha smesso di piovigginare.

Tempistiche

Ci abbiamo messo circa due ore per arrivare alla sella Sief, dal bosco di Andraz.

Non è proprio prestissimo, quindi diamo un po’ di panino alla bimba così si tranquillizza e poi decidiamo di proseguire. Sta uscendo qualche lama di sole: vediamo il Col di Lana, è già lì, non possiamo rinunciare.


Setsas visto dal Sief
Il Setsas visto dal Col di Lana

La conquista del Sief

Riprendiamo sul crinale sinistro della sella, sul sentiero 21. Il crinale è interamente percorso dalle trincee della linea del fronte austriaco e si può scegliere se camminare dentro o fuori. Facciamo un po’ e un po’. Le abbiamo già viste altre volte ma sono sempre magiche. La salita non è ripidissima ma lo zaino pesante complica un po’ le cose. Fortunatamente è breve, e in 20 minuti siamo sul Sief.

Ci concediamo un momento per guardarci intorno e, poiché sta uscendo il sole, decidiamo di procedere verso il Col di Lana. Dovremo scendere di circa 50 metri e poi risalire di 80 per guadagnare la cima del colle. Una mina della guerra ha infatti spaccato in due la montagna, aprendo la voragine che dovremo aggirare.

Ci sono due tratti di corda e un paio di scalette in questo sentiero, ma non ci spaventano, nonostante lo zaino imbottito con la bimba. Lo abbiamo percorso diverse volte, sappiamo a cosa andiamo incontro.

Info utili

I tratti di corda non richiedono espressamente l’imbrago ma è utile se avete dei bimbi di età media a cui volete far provare l’ebbrezza del sentiero attrezzato oppure se siete leggermente tendenti alla vertigine. Il Marito la prima volta che ci siamo andati si è bloccato un paio di minuti ed è poi sceso velocemente, non tanto nei tratti corda quanto in quei brevi punti dove il sentiero si espone leggermente sulla cresta delle macerie della mina. Oggi lo fa con la primogenita in spalla. Domani lo farà bendato con la neve, probabilmente.

Il cratere della mia tra Sief e Col di Lana
Una discreta voragine

Scendiamo sicuri verso il basso, qua e là ci imbattiamo nelle tracce della guerra. Gallerie buie che portano dentro la montagna. Una finestrella cementata, forse una bocca di mitragliatrice. L’ingresso crollato di una trincea coperta, pali rotti che spuntano come cavalli di Frisia.

Brandelli di storia

Il 27 ottobre 1917 una colossale mina austriaca di 45 tonnellate di esplosivo fu fatta scoppiare sulla cresta tra il Col di Lana e il dente del Sief, causando un cratere di 80 metri di diametro e profondo 40, che squarciò le postazioni italiane causando la morte di 63 soldati. Impresa resa poi vana dal ripiegamento forzato delle truppe dopo Caporetto, appena un mese più tardi. Tra le battaglie per il Col di Lana e quelle del Sief i due opposti schieramenti hanno lasciato sul terreno più di 8000 uomini. Un teatro di guerra spaventoso, conquistato con sangue e fatica e poi abbandonato. Non stupisce che nella memoria ancora si chiami Col di Sangue.

E infine, il Col di Lana

Giunti al termine della discesa ci fermiamo un attimo nel cratere della mina, tanto impressionante quanto magnetico, ben illustrato da alcuni cartelli che ci accompagnano dalle trincee del Sief. Cartelli ormai sbiaditi dal sole, che raccontavano le gesta belliche.

Ripartiamo quindi verso la vetta del Col di Lana, superando con l’aiuto delle corde alcuni scalini e qualche masso troppo alto per il singolo passo. Il resto del sentiero è agile. Percorriamo l’interno del crinale su scalette di legno e poi su sentiero ghiaiato fino alla cima. Qui svetta una croce quasi invasa di cimeli bellici e pezzi di lamiera trovati sul sentiero dagli escursionisti.

Croce del Col di Lana
Croce del colle

Scendiamo quindi subito sotto la vetta dove troviamo una piccola chiesa a memoria degli Alpini e un bivacco in legno, di fronte al panorama. Sulla destra è ben visibile la traccia circolare del cratere della galleria di mina italiana esplosa nell’aprile del 1916, che assicurò la conquista del colle agli Alpini.

Oltre la voragine il sentiero prosegue fino ad un monumento ai caduti austroungarici e poi scende per il crinale più ripido. Fin qui abbiamo impiegato in tutto circa 3 ore abbondanti dal castello. Non male considerata la zavorra.

Chiesetta degli Alpini
Chiesa con vista

Il bivacco

Il tempo torna ad essere inclemente, si alza un forte vento. Decidiamo quindi di introdurci nel bivacco per mangiare i panini.

Dentro è tutto in perfetto ordine. C’è un tavolaccio di legno con panche e sedie, quattro posti letto su brande a castello, soppalco con attrezzatura per feste e tenda. Alle pareti sono appesi i manifesti delle rievocazioni storiche, le feste alla memoria del Gruppo Alpini di Cadore e le istruzioni per l’uso del bivacco, che è sempre aperto. In un angolo c’è persino una tanica bianca contenente vino, con pila di bicchieri annessa e prezzo scritto sopra. Non ci azzardiamo ad assaggiare, ma l’idea è lodevole.

Anche la Tata apprezza: può liberarsi dei vestiti pesanti e scorrazzare liberamente intorno al tavolo.

Chiesetta degli Alpini sul Col di Lana
Le croci pullulano un po’ ovunque

Se stavate leggendo il percorso dal Valparola, potete tornare a bomba cliccando qui.


Discesa

Quando usciamo non è che il tempo sia migliorato gran ché, ma almeno non piove. Decidiamo dunque di avviarci sullo stesso sentiero percorso al mattino. Scendendo da soli nella vallata seguiamo le mucche che tornano verso le stalle e incontriamo anche diverse marmotte, stavolta meno diffidenti.

C’è quasi il sole mentre passeggiamo per i pascoli. Riusciamo anche a scorgere, tra una macchia di bosco e l’altra, le linee delle trincee italiane, coperte di erba e frasche, ma il cui profilo è ancora intuibile. Ci passiamo in mezzo più volte e infine, scendendo verso Andraz, lasciamo la guerra sulle cime e torniamo alla macchina.

Tempistiche

Per scendere abbiamo impiegato 2h50 circa, non tanto di meno rispetto alla salita. Forse perché siamo andati con più calma, forse perché comunque il sentiero è impegnativo in entrambi i versi. Ultima nota di colore: a memoria, di tutti i giri mai fatti in Dolomiti e affini, questo è stato il più “solitario” in assoluto. Abbiamo incontrato in tutto, lungo il tragitto, solo 7 persone (4 nei prati con le baite, 2 in cima e uno al rientro, sul sentiero del Sief). Potrebbe, e dico potrebbe, essere la meta perfetta.

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