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Al Rifugio Portafranca: Appennino Bolognese in giornata

Parlo troppo poco dell’Appennino, lo so, percui oggi andiamo al Rifugio Portafranca, con una bella gita in giornata da Bologna.

Siamo sempre lì a immaginare di stare sulle Dolomiti, nei nostri posti del cuore, ma ammettiamolo. Noi che siamo gente di pianura (cit.) siamo venuti su con le gite fuori porta a massimo due ore di macchina. Con le vacanze povere degli anni ’80 che sembrava di andare sulla Luna.

Quelle vacanze dove si esploravano le montagne vicine, con la strada tutta curve che “no fermati subito, la bambina vomita“. Con le soste al market casalingo a metà strada. Quelle gite con i “dai, siamo quasi arrivati“, quando potevi toglierti le cuffie del walkman (il WALKMAN, che storia), guardare fuori e vedere finalmente il paesello.

Il paesello, quella borgata inesistente incastrata tra i monti verdi, con la fontana sotto all’alberone e le panchine con i vecchietti fermi a fare le chiacchere, che ti guardano male quando passi. Le vacanze con i soliti amici di sempre, che poi sono i vicini di casa, quelli che come i tuoi genitori e nonni negli anni ’80 hanno investito nella pietra.

L’Appennino è pieno di “pietre”, seconde case da cui partire per esplorare i monti, e oggi andiamo su quei sentieri verso le “pietre” che un tempo furono di qualcuno.

#diariomontano10

Per quanto riguarda noi, la nostra pietra” è un’imponente quanto scomoda casona in sasso a Osteria Vecchia. Il paesello sta nellAppennino modenese, collocato sulla strada tra Fanano e il Passo della Croce Arcana. Siamo a mille metri circa, quindi per il nostro Appennino è andata più che grassa, la “pesca del rudere” per i miei nonni. Siamo abbastanza in alto, d’estate è sempre fresco e in genere non ci sono le zanzare. Unico neo, siamo nel versante all’ombra, quindi abbiamo l’umidità perenne che sputa in casa. E vabbè, non si può avere tutto. Dalla finestra vediamo il Monte Lancio e tanto basta.

Siamo in vacanza fissa a Osteria dal 1987, quindi si può dire che noi si abbia una certa padronanza della zona, dal punto di vista escursionistico. Anzi, ci annoiamo alquanto ormai, tanto che andiamo a cercare man mano posti sempre più imbucati e lontani, perché nella Val di Lamola s’è fatto quasi tutto, diciamocelo.

Talmente lontano che spesso, per girare in Appennino, non andiamo nemmeno più a casa nostra ma partiamo direttamente da Bologna. Come quella la volta appunto che abbiamo organizzato con gli amici una gita a Portafranca, che no, non è il set di un film bellico, ma è un glorioso rifugio sul versante toscano dell’Appennino Bolognese. E dunque andiamo ad illustrarla, questa scampagnata.

Rifugio Portafranca Earth

Salita al crinale

Partiamo ormai a metà mattina dal Rifugio Segavecchia, che si colloca nell’alta valle del Silla, poco oltre Pianaccio, dove Enzo Biagi nacque e aveva una “pietra”. Il rifugio, costruito su di una strada quasi pensile e rinforzata in sasso, con strette curve a gomito prive di segnaletica, è immerso nella faggeta, ombroso e accogliente. Partiamo dopo una seconda colazione a base di torta e caffé di moka alla volta del sentiero 121. Si prende tenendo la strada che dal rifugio continua superando il torrente, sulla destra.

Il sentiero si inerpica nel bosco a gradoni e stretti tornanti, e aiutandosi a volte coi corrimano, si guadagna in breve una larga curva. Qui la faggeta lascia spazio alla pineta, nei pressi di una fonte in pietra, circondata da muretti a secco. La montagna era molto più abitata di quanto si possa intuire passeggiando nei boschi. In genere laddove oggi c’è un’abetaia un tempo c’era un campo coltivato, soprattutto se il luogo è poco pendente.

Verso il rifugio Portafranca
I boschi intorno alla sorgente

Continuiamo dopo aver riempito le borracce con acqua ghiacciata e buonissima. Da qui il sentiero si inerpica in modo più deciso, seguendo la china di un monte che aggireremo sul versante sud, il Monte Grosso.

Giunti a circa 1350 metri pieghiamo decisamente verso la linea del confine, seguendo un crinalino e tenendoci sottocosta. Il bosco si abbassa e la luce inizia a filtrare in modo deciso tra le foglie.

Sbuchiamo infine nei prati sotto il crinale e con un’altra sgambata siamo sul Passo del Cancellino. Da qui imbocchiamo il sentiero di cresta, lo 00, verso sinistra, guardando davanti a noi il Monte Gennaio e tenendo il Corno alle Scale alle spalle.

Passo del Cancellino
Ah, l’Irlanda

Info utili

Per chi non lo sapesse il sentiero 00 è anche il confine regionale tra Emilia Romagna e Toscana e si fregia quasi interamente della nuova segnaletica Alta Via dei Parchi. Per chi volesse, sono 27 giorni di cammino, dal parmense alle Marche, tutto sul crinale. Solo per i più coraggiosi.

Al Rifugio Portafranca

Da qui è ormai una passeggiata di salute. Continuiamo lungo lo 00 che passa sottocosta al Monte Gennaio e poi, giunti al bivio nei pressi di un’altra fonte, prendiamo il sentiero 5 che indica già la nostra meta. Il Rifugio Portafranca si trova infatti poco sotto il crinale, e si raggiunge in breve dopo aver attraversato un boschetto di quota.

Il rifugio è soleggiato, lambito dagli alberi, ed è ricco di tavoloni e panche tutt’intorno. Noi, che siamo gente frugale, avevamo preso i panini quindi ci accaparriamo subito un tavolaccio. Ma volendo fare gli splendidi, il Portafranca vanta un’eccellente fiorentina e grigliata mista di carne, famosa da entrambi i versanti. Noi annusiamo le carni che escono dalla cucina e ci accontentiamo di una grappa e di un dolce, prima di ripartire.

Passo del Cancellino e Monte Gennaio
Cancellino e Monte Gennaio, sullo sfondo

Ritorno ad anello

Poiché ci piace come sempre pensare i giri ad anello, tornando sullo 00 non prendiamo nuovamente il sentiero che ci riporta al Monte Gennaio ma teniamo la destra e proseguiamo lungo il crinale. Teniamo sempre il 5, fino ad un bivio col sentiero 111 che si butta in discesa a sinistra verso Passo del Lupo (l’ennesimo con questo nome).

In breve si sbuca su di una strada che altro non è che la continuazione di quella su cui è costruito il rifugio Segavecchia e che, nell’altra direzione, conduce al Rifugio Donnamorta, sotto l’omonimo passo. Sì, i nomi sono uno spettacolo.

Teniamo quindi la strada verso il basso e quando il sentiero 111 si stacca sulla destra per andare verso il rifugio Donnamorta, noi continuiamo sulla strada. È una bella strada del genio militare, rinforzata in epoca fascista, quindi non c’è pericolo di perdersi.

Dalla cima del Monte Gennaio
Dalla cima del Monte Gennaio. Foto di Francesca Mazzanti

La strada compie un ampio giro intorno alla valle, per mantenere bassa la pendenza, quindi abbiamo tutto l’agio per guardarci intorno e ammirare meglio questi paesaggi a noi ancora ignoti. Passeggiando con calma, tra faggete e boschi misti di fiume, arriviamo infine al rifugio Segavecchia. La strada è abbastanza lunga ma non si può dire che si sia arrivati stremati. La birretta serale però non ce la toglie nessuno.

Bonus track: memoria familiare

Quando mia suocera era incinta di quello che chiamo il Marito, fu condottà fino in cima al Piz Boé, sul Gruppo del Sella. Il risultato fu un cinno fissato con le Dolomiti. Io, nel mio piccolo, sono andata a Portafranca, anche se rassicuro i più apprensivi che non sono andata in cima al Monte Gennaio ma mi sono tenuta a mezzacosta. C’è qualche speranza che la Tata si innamori anche solo un po’ della montagna? Per ora sembra di sì. Quindi forse la tecnica funziona.

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