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Un’altavia diversa. Tappa 1: dal lago di Braies al rifugio Biella

Oggi parliamo di una cosa un po’ particolare: un’altavia. L’altavia è un percorso a tappe che si mantiene in quota, come dice il nome. Sulle Dolomiti e in generale sulle catene montuose ci sono diverse altavie già segnate. Spesso si incontrano i cartelli sui sentieri, e basta seguire sempre lo stesso numero per portarne a casa una.

Sono però abbastanza lunghe. Di solito partono e arrivano in due diversi paesi di fondovalle, per un totale di 10/15 tappe. E qui tutta la situazione si scontra con la realtà.

Quando eravamo giovani e liberi da vincoli puericultori abbiamo organizzato un anno con altavia. Ma, chiaramente, non potevamo prendere un percorso già disegnato. Giammai. Abbiamo quindi inventato un’altavia nostra, più corta (e più adatta alle nostre tasche di allora).

Abbiamo quindi selezionato pochi rifugi di sicura fama, un percorso ad hoc nella cornice del Parco delle Tre Cime di Lavaredo ed ecco che è nata l’altavia de noantri. L’AltRavia.

O meglio, una nostra versione di altavia pianificata a tavolino per toccare cime e rifugi ben selezionati, nella cornice straordinaria offerta dal Parco delle Tre Cime di Lavaredo. Insomma, l’AltRavia.

#diariomontano09

Partiamo dunque per il nostro viaggio di sei giorni in quota. Solo sei. Una sgambata dai.

Starting point il lago di Braies, ovvero la location montana più ambita dai creator di tutto il globo terracqueo, visitabile ormai senza frotte di turisti solo la notte del 31 aprile.

Info preliminari

Il nostro punto di arrivo finale sarà Sesto, quindi c’è da dichiarare il parcheggio. Lasciamo l’auto nel parcheggio degli impianti di risalita del Monte Elmo a Sexten ad un orario improbabile del mattino. Dopodiché, con in nostri zaini da 10kg l’uno contenenti il necessario per 6 giorni di cammino, prendiamo l’autobus di linea diretto a San Candido.

Qui ci procuriamo i panini, riempiamo le borracce alla fontana e cambiamo autobus. Prendiamo quello in partenza per Brunico e scendiamo a Villabassa. Da Villabassa si prende poi la navetta o il bus di linea che conducono a Braies, dove arriviamo nelle 9 circa.

Adesso provate a immaginare a che ora ci siamo svegliati.

Tappa 1 Altavia Earth

Il lago più instagrammato di sempre

Scesi dal bus ci aggiriamo con fare sperduto nel parcheggio di Braies. Una landa di auto sempre più grande e polverosa, che anno dopo anno ha invaso e devastato il bosco che un tempo circondava il lago.

Oggi dove c’era il bosco ci parcheggiano i pullman, c’è un’area camper gigantesca e diverse costruzioni, tra cui bagni, bar, torrette per il pagamento del parcheggio eccetera. Shame. Decidiamo per una breve seconda colazione, visto che ormai la sveglia è stata eoni prima, e poi ci dirigiamo sulla riva.

Insieme a noi, oltre ai primi turisti scaricati da bus e camper, anche diversi fotografi con teleobbiettivi grossi come cannoni che finiscono di immortalare l’ora blu sulla superficie del lago.

Oggi si fanno i like facili su IG.

Lago di Braies
Guardate come fingo la solitudine del lago, mentre dietro di me si assembrano i fotografi

Partenza in salita

Dopo qualche foto di rito (perché sono forse io la più quaglia che passa per Braies e non fa 75 foto alle barchette?) ci incamminiamo sul sentiero numero 1 che tiene la destra del lago. Per capirci quello dalla parte dell’hotel e della chiesetta.

Praticamente è una strada che entra ed esce dal bosco, facendo un su e giù tra i massi del lungolago e gli alberi aggettanti. Giunti in fondo allo specchio d’acqua il sole ormai è alto e comincia a farsi fastidioso. Attraversiamo il ghiaione formato dai torrenti che piovono nel lago e, giunti al paletto che segnala l’incrocio dei sentieri, ci incamminiamo decisamente verso l’alto, tenendo sempre la traccia numero 1.

Tagliamo quindi a zig-zag il ghiaione, assolatissimo, candido e accecante che costeggia i torrenti, in mezzo ad una vegetazione bassa di mughe e arbusti.

Info utili

Il disegno di questo sentiero con tutta probabilità cambia ogni anno, a causa delle intemperie e della neve che portano a valle i detriti lungo le pendici montane. Tuttavia è molto ben segnato con innumerevoli omini di pietre, paletti e segni sui massi più grandi. Non si può perdere.

Ad un certo punto, una volta superato il ghiaione, il sentiero compie una curva per aggirare un grosso masso erratico e passa sotto una parete rocciosa bagnata d’acqua e poi riprende nel bosco, tra scalette e radici pensili che aiutano l’ascesa.

La salita è molto dura, ci fermiamo diverse volte per bere e prendere fiato (ci sono numerose panchine sul tracciato). Ogni tanto ci guardiamo indietro ma non è che rimpiangiamo gran ché tutta la ressa che ormai si sarà accalcata sulle sponde di Braies.

Dolomiti di Braies
Un caldo tropicale sopra le mughe

Verso l’alto

Continuiamo sulla destra del torrente, che attraversiamo e abbandoniamo definitivamente. Poi risaliamo uno sperone di roccia coperto da alberi bassi e spuntiamo infine su una piccola valle pensile con prati e pascoli.

Durante il tragitto incontriamo diverse mucche che brucano in zone insolitamente impervie, anche per loro. In cima alla valle ci sono alcune malghe ma i recinti sono vuoti. Chissà perché le vacche son qui incastrate sui sassi a mangiare la poca erba che spunta tra le radici dei pini. Mah.

Oltre la valle il sentiero tiene la destra, aggirando un blocco di rocce appartenenti alle crode, e supera con un breve strappo dentro un vallone un salto di quota di circa 100 metri. In cima ci possiamo riposare un po’ all’ombra di un grosso masso erratico, nel bivio molto ben segnalato tra sentiero 1 e sentiero 3, entrambi percorsi di altavia CAI.

Bivio sul sentiero dell'Altavia
Brevi soste tra i sassi

Dentro il “Forno”

Continuiamo ancora tra le mughe tenendo la destra sul sentiero 3, che ci porta in cima all’ultima tappa della nostra salita. È la Forcella Sora Forno, che raggiungiamo dopo aver percorso il canalone (Forno, un nome un programma) fra la propaggine sudorientale della Croda del Becco e il Monte Muro.

Sotto ad un sole cocente ci aggiriamo tra i sassi franati come stambecchi stanchi, mentre inesorabilmente saliamo verso le ultime scalette intagliate nella roccia, che ci permettono di affacciarci sull’Alpe di Braies.

La quota massima è 2389 metri, mentre il lago si trovava a 1490 metri. Ora non ci resta che scendere brevemente fino al rifugio, il Biella, che ci ospiterà per la notte.

Al Biella

Arrivati in vista della soglia scorgiamo una signora in crocs e grembiule con un binocolo in mano che sta impalata nell’erba e guarda verso la Croda Rossa, alla nostra sinistra.

Ci viene in mente solo ora che abbiamo sentito rumore di elicotteri in lontananza per tutto il giorno. Chiediamo subito informazioni. L’indomani dobbiamo andare da quella parte per proseguire il nostro tour.

A quanto pare nella notte e per tutta la mattina c’è stata una grossa frana sulla Piccola Croda Rossa. È visibile un bello squarcio anche ad occhio nudo, che ha precipitato a valle una pioggia di massi sui sentieri 3 e 4, ora chiusi. La forestale monitora la cosa e perlustra la valle, per fortuna non c’è nessun ferito. Ora finalmente capiamo perché i pastori hanno spostato le mucche nel bosco.

La notizia sulle prime ci spiazza: dovevamo prendere proprio i 3, l’indomani. Ma siccome siamo dentro alle montagne più battute di sempre, guardando la carta ci accorgiamo subito che ci sono almeno altri due sentieri papabili per raggiungere la nostra meta programmata per la tappa 2.

Ci buttiamo nell’erba e mangiamo i nostri panini.

Tempistiche

Abbiamo impiegato 3h20 in totale per arrivare al rifugio Biella, comprese le pause per acqua e cioccolata. La salita è molto impegnativa ma non così lunga, alla fine.


In cima alla Croda del Becco

Nel pomeriggio, dopo aver preso posto nel rifugio e lasciato i nostri zaini, decidiamo di conquistare la nostra montagna maledetta: la Croda del Becco.

Altre volte avevamo tentato la salita ma avevamo dovuto rinunciare a causa del maltempo. Stavolta ci sono solo delle piacevoli nuvolette passeggere, NIENTE ci impedirà di arrivare in cima. Partiamo scarichi e baldanzosi.

Info utili

La salita per la Croda, segnata col numero 1, è indicata a puntini, quindi come sentiero per esperti. Ci sono alcuni tratti di corda e qualche gradino di metallo, ma non ci sono punti molto esposti. Si sale lungo la parte piatta del monte, all’interno rispetto alla cresta, quindi non si rischia di cadere nel vuoto. Ciò detto, è tutto su roccia liscia, se piove o tira molto vento può diventare insidiosa.

Sulla Croda del Becco
Il Marito mi impedisce di affacciarmi sul vuoto sottostante, quindi solo panoramiche delle cime per noi. Quella a destra è la Croda Rossa col nuovo ghiaione fresco di frana

Ci attacchiamo alle corde con le mani e iniziamo a salire per i tornantini del sentiero, sulle scalette di roccia, che si fanno sempre più ripide fino all’arrivo sul primo costone della montagna.

Poi il sentiero si butta in diagonale sulla parte interna, salendo a zig-zag fra i massi verso la cima. Questa inizia a vedersi, sul punto più alto della croda. Infine, superati alcuni sassoni e salite le ultime scalette, si arriva alla croce, in un piccolo spiazzo di ghiaia e roccia abbastanza protetto ma esposto ai venti. Verso nord alcuni massi fanno da parapetto verso il vuoto che si spalanca sotto di noi.

Là in fondo il lago, piccolissimo, nella sua cornice verde di abeti. Tutto intorno solo cime affilate come lame, inaccessibili.

Il vento ci spazza la faccia. Dopo qualche foto di rito e una breve conteplazione del mondo e della nostra piccola impresa personale riuscita, scendiamo alla base per metterci le ciabatte e bere la nostra meritata birra.

Sulla Croda del Becco
Un dedalo di denti oltre la croce

Tempistiche

Dal rifugio alla cima della Croda del Becco impieghiamo circa 1h15, per circa 500 metri di dislivello, in linea coi tempi CAI. La discesa è più veloce, circa 40 minuti.

Il rifugio Biella

Il rifugio Biella è un classico rifugio CAI. È abbastanza grande, con camerate e stanzoni, bagni alla buona con acqua fredda e niente docce.

Il cibo è abbondante, con i piatti standard CAI per i poveretti come noi, e la compagnia che si incontra è varia. C’è chi fa solo una notte in quota, c’è chi fa il giro di Fanes-Sennes-Braies. C’è anche chi si è perso nel temporale ed entra bagnato come un pulcino, ormai oltre l’orario di cena.

Ma due panini non si negano a nessuno e ogni avventore sa che troverà un porto sicuro. Quando alloggi ti chiedono da dove vieni e dove sei diretto, così se ti perdi o non arrivi dove hai prenotato sanno da dove sei partito e ti cercano nei pressi.

La notte passa indenne senza problemi e l’alba ci coglie preparati al nuovo giorno. Le nuvole che avevano portato la pioggia in serata si sono diradate e la nuova via è stata tracciata sulle carte. Nella luce dorata del mattino possiamo partire per la prossima tappa.

Tappa 1 Altavia: il rifugio Biella
Una scenografia per il Biella

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